Forza lavoro

11 febbraio 2019

Left, settimanale edito da Matteo Fago e diretto da Simona Maggiorelli, dedica alla nuova precarietà lavorativa la copertina del nuovo numero della rivista, in edicola dall’8 al 14 febbraio con il titolo “Forza lavoro”

Esiste una categoria purtroppo sempre più diffusa in Italia ed è quella dei lavoratori invisibili, le cui storie non vengono raccontate a sufficienza e si fatica a comprenderne davvero l’entità.

Sono riders, commessi, facchini costretti a straordinari gratis, orari assurdi, full-time pagati come part-time, e ancora discriminazioni razziali o di genere, test di gravidanza imposti e nessun tipo di diritto o garanzia.

E, come racconta Carmine Gazzanni all’interno del pezzo di copertina di Left, sono realtà molto più diffuse di quanto non si sia soliti pensare.

Gli esempi sono tantissimi e preoccupanti.

Claudia, 25 anni, dopo anni di stage e sacrifici era riuscita a firmare un contratto indeterminato in un negozio di abbigliamento a Roma, salvo poi ritrovarsi stritolata da un meccanismo infernale al ritorno dalla maternità: ogni diritto era evaporato, i giorni liberi e i riposi un lontano ricordo, e anche le stesse ore di allattamento erano gestite a discrezione dell’azienda e non secondo le necessità personali sue e del bambino.

Dopo soli tre mesi, Claudia ha dovuto abbandonare il posto di lavoro perché impossibilitata a sottostare a quei ritmi.

Altre ragazze raccontano di esperienze ancora peggiori: “Comincio a lavorare in un centro commerciale – racconta Alessandra a Left - ma dopo pochi mesi mi accorgo che l’ambiente non è sano. Pretendono ore di straordinario gratis, orari assurdi, e quando ad agosto mi sposo mi concedono solo pochi giorni. Con la busta paga, a settembre, scopro per no che l’assenza era stata indicata come ferie, e non come congedo matrimoniale”.

Ma non è tutto: “Il secondo rinnovo va dal 31 agosto al 30 novembre – continua Alessandra – e ad ottobre mio padre viene ricoverato. Deve subire un’operazione complessa, quando non lavoro sono in ospedale da lui, di notte non dormo per la preoccupazione, mangio male, al lavoro sono stanca e prendo un po’ di peso”.

Il 29 novembre, il giorno precedente alla scadenza del suo contratto lavorativo, Alessandra viene informata che il suo impiego non verrà rinnovato perché sospettano che sia incinta.

Per ottenere un eventuale e ulteriore mese di contratto, le impongono un test di gravidanza.

Quelle che appaiono come storie incredibili, assurde, sono la quotidianità di un esercito invisibile e sconosciuto che popola le strade di tutta Italia

Tra i casi più noti alle cronache c’è quello del centro di smistamento Amazon più grande d’ Europa e situato a Piacenza, dove tutti i dipendenti sono controllati da algoritmi al pari di automi senz’anima, e costretti a ritmi lavorativi inumani.

Lo ha denunciato con ampiezza di particolari il giornalista Maurizio Di Fazio nel suo libro-inchiesta “Italian Job” (Sperling&Kupfer): alcuni lavoratori sono obbligati, per mantenere il proprio posto, a correre fino a 15 chilometri al giorno per riuscire a prelevare 180 pezzi l’ora, disseminati per gli enormi magazzini.

Nella nuova economia della precarietà anche i secondi contano, e per evitare ritorsioni e licenziamenti bisogna letteralmente sfrecciare, non importa se i rischi per la salute possono essere enormi o addirittura fatali.

Alberto Piscopo Pollini, diciannovenne barese e ciclofattorino digitale, apparteneva al mondo della cosiddetta gig economy, dove il posto fisso o precario non esiste più e si lavora a chiamata.

Erano le 22.30, un orario molto frenetico a causa delle numerose ordinazioni di cene a domicilio e che costringe i ragazzi a corse contro il tempo per garantire tutte le consegne.

Durante il tragitto, mentre sfrecciava per non perdere il posto, Alberto ha perso la sua giovane vita travolto da un’auto. Da domani in edicola.


Condividi sui social

Scarica il comunicato