25 gennaio 2019
Left, settimanale edito da Matteo Fago e diretto da Simona Maggiorelli, dedica a Giulio Regeni e ai nuovi desaparecidos del Mediterraneo la copertina del nuovo numero della rivista, in edicola dal 25 al 31 gennaio con il titolo “Memoria, verità, giustizia”.
La sera del 25 gennaio di tre anni fa, alle ore 19.41, Giulio Regeni diede per l’ultima volta notizie di sé; da quel momento sino ad oggi, una nube fitta di silenzi ha oscurato il destino e la vita stessa del giovane dottorando italiano all’università di Cambridge, in Egitto per un progetto di cooperazione interuniversitaria.
Poi il rapimento nel giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, le torture subite ed il cadavere rinvenuto il 3 febbraio nei pressi di una prigione legata ai servizi segreti egiziani.
Chi è a conoscenza della tragica situazione dei diritti umani in Egitto, ricorda il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury, “parla di un delitto di Stato la cui estensione è naturalmente da determinare, che tiene insieme da tre anni chi ha ordinato il sequestro, la sparizione, la tortura e l’omicidio di Giulio, chi ha eseguito quei crimini e chi ha coperto gli autori, depistando, insabbiando e impedendo ogni significativo passo avanti verso l’accerta- mento della verità”.
Da parte dello Stato italiano nessun gesto di forza o di inimicizia, fatta eccezione per il ritiro dell’ambasciatore dal Cairo durante l’aprile 2016, atto comunque revocato da un provvedimento opposto durante l’anno seguente.
Le successive relazioni tra Italia ed Egitto sono proseguite all’insegna di una progressiva normalizzazione delle relazioni commerciali, che valgono oltre 5 miliardi di euro (il nostro Paese è il primo partner commerciale dell’Egitto) ed impediscono una autentica ricerca di giustizia per il giovane italiano barbaramente torturato e ucciso al Cairo tre anni fa.
Nella nazione africana operano circa 130 grandi aziende italiane, attive per lo più nel settore delle grandi opere (come il raddoppio del Canale di Suez), energetico e persino bancario.
Come spiega a Left una fonte interna alla Farnesina, “rompendo i rapporti con l’Egitto non si hanno più leve, e se quegli affari non li fai tu, è pronto a farli qualcun altro. Al Cairo c’è la fila: gli emirati del Golfo, la Russia, la Cina, la Gran Bretagna”.
La consuetudine di lunga data che l’Italia intrattiene con il Paese dei faraoni, insomma, sembra impedire reali passi in avanti nella ricerca della verità sul caso Giulio Regeni.
Ma l’omicidio del ricercatore italiano rappresenta un esempio lampante ma tutt’altro che isolato all’interno dei complessi meccanismi che mantengono al potere il regime militare di al-Sisi, salito al governo con un colpo di Stato attuato nel luglio del 2013.
Arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate si riconfermano alcune delle armi preferite dal regime per mettere a tacere dissidenti e oppositori, come scrive Antonella Napoli – inviata di Left al Cairo per svolgere un’inchiesta sui fantasmi che pesano sulla coscienza di al-Sisi: “Ormai è prassi che al momento del fermo dei malcapitati di turno non sia formulata alcuna imputazione e la loro detenzione preventiva sia prolungata ben oltre il consentito. Quello egiziano è tra i sistemi autoritari più spietati e duri; gli appartenenti alla National security sottopongono i detenuti a violenti e coercitivi interrogatori lunghi dai tre giorni a una o più settimane. Gli stessi che dopo otto giorni hanno portato alla morte il nostro Giulio Regeni, che nulla aveva da confessare e forse per questo ha pagato con la vita”.
Da domani in edicola.