05 aprile 2018
L’annuncio a Toronto, la settimana
scorsa di Emilio Ferrari, il direttore degli acquisti di
Barilla, che il più grande produttore di pasta al mondo ha
tagliato le importazioni di grano canadese del 35%, non
poteva non fare rumore. Almeno al di là dell’oceano, visto che i
giornali italiani non ci sembra ne abbiano parlato.
Eppure a fare notizia avrebbe dovuto
essere il fatto che Barilla ha confermato che il drastico taglio è
stato causato delle continue preoccupazioni dei consumatori
circa l’uso di glifosato.
Il direttore acquisti,
ha voluto specificare che nonostante il grano duro canadese sia di
qualità eccezionale, Barilla al momento non ha firmato
contratti con fornitori di Toronto, riporta il giornale
iPolitics.
I consumatori italiani temono che il grano di origine
nordamericana sia stato “avvelenato” perché è
risultato positivo alle tracce del glifosato – ha
detto Ferrari – una paura che gli agricoltori italiani hanno
capitalizzato nel tentativo di far diminuire le importazioni
straniere, anche se il glifosato non presenta rischi per la salute
umana se i residui sono entro limiti accettati.
“Penso che
sia una sorta di suicidio dire che la pasta è
avvelenata dal glifosato ma questo è l’approccio che abbiamo ora”
ha spiegato Ferrari, aggiungendo che “è molto difficile cambiare
l’opinione pubblica” anche se le sue convinzioni non sono
basate sulla scienza.
E ha ribadito ai partecipanti al
Canadian Global Crops Symposium che la sua compagnia non è
attualmente disposta ad accettare spedizioni con tracce di glifosato
superiori a 10 parti per miliardo.
Una vittoria storica per i
consumatori
Fin qui la cronaca.
Dal punto di vista dei consumatori, va
detto, si tratta di una delle maggiori vittorie degli ultimi anni.
Costringere l’industria pastaria italiana ad approvvigionarsi
di grano pulito, anche in assenza di obblighi di legge, è
senza dubbio un risultato che potremmo definire storico.
Solo due anni fa, almeno fino al test
del Salvagente che dimostrò la presenza di residui
nell’alimento principe del made in Italy (e in molti dei marchi
leader), nessuno sembrava interessato a controllare questo pesticida.
C’è voluto più di un milione di firme per
convincere Bruxelles a discuterne. E seppure la soluzione scelta
dalla Ue (autorizzare per altri 5 anni l’uso del pesticida in
Europa) ha scontentato i consumatori, il risultato è arrivato.
L’etichetta di origine obbligatoria e
la costatazione che il grano canadese, irrorato di glifosato
prima del raccolto per favorirne la maturazione (il
“preharvest”), finiva per essere frequentemente contaminato dal
pesticida (nel
30% dei campioni controllati), hanno fatto sì che i consumatori
potessero scegliere e le aziende fossero costrette a correre ai
ripari.
A poco serve dire che si tratta di
una speculazione degli agricoltori, caro Ferrari. I
consumatori italiani non sono marionette e scelgono
spesso su dati di fatto tutt’altro che ascientifici. A meno di non
voler definire tali le ricerche dello Iarc (e di
istituti italiani come il Ramazzini) che i pericoli del glifosato li
hanno quantificati. Anche alle dosi ammesse dalla legge.
Onestà per onestà,
però, apprezziamo la condizione posta da Barilla
agli agricoltori canadesi di diminuire (e di molto) i residui. Si
tratterà anche di una scelta “obtorto collo”, ma ci fa felici.