22 marzo 2019
La prima volta in cui la sigla Bpa (acronimo che indica il pericoloso Bisfenolo A) ha fatto il proprio ingresso nel dibattito pubblico sulla salute dei consumatori erano i primi anni duemila, quando è emersa la sua capacità di alterare lo sviluppo del sistema ormonale incidendo sulla fertilità.
Le interferenze endocrine di questo composto sintetico, utilizzato nella produzione della plastica, sono alla base di possibili anomalie riproduttive, cancro a seno e prostata, diabete e malattie cardiache.
Bandito dai biberon europei nel 2011, oggi è però rintracciabile in concentrazioni elevate in quasi tutti i cartoni per la pizza.
Lo dimostra un’inchiesta svolta dal Salvagente, la rivista mensile interamente dedicata ai diritti dei consumatori, edita da Matteo Fago e diretta da Riccardo Quintili.
Sotto esame sono finiti tre contenitori da asporto in cartone, destinati a contenere l’alimento italiano per eccellenza, la pizza.
Le misurazioni hanno rilevato come il composto pericoloso sia contenuto in quantità non indifferenti in due campioni su tre.
Il rischio è la contaminazione del prodotto stesso: nella pizza ospitata dai cartoni marchiati Garcia de Pou e Izmir la migrazione di bisfenolo è stata di 179 ppb e 331 ppb (parti per miliardo).
Questa quantità sarebbe illegale se proveniente da un contenitore di plastica, ma non ci sono norme che regolano carta e cartone; l’assenza di leggi deriva soprattutto dal fatto che nessuno, nemmeno il legislatore, si aspettava di trovare il bisfenolo in questi materiali.
Nonostante le pressioni dell’Echa (l’Agenzia europea delle sostanze chimiche) per la messa al bando di questo composto sintetico, il Parlamento europeo e la Commissione Envi Ambiente hanno semplicemente abbassato i limiti consentiti (da 600 a 50 parti per miliardo) e portato a zero la soglia negli involucri per alimenti destinati a neonati e bambini.
L’origine di questa contaminazione (tipica delle plastiche e delle resine epossidiche) che coinvolge la carta è probabilmente da attribuirsi all’inquinamento del cartone riciclato utilizzato in fase di produzione.
Come sempre l’inchiesta svolta dal Salvagente non è passata inosservata, ed è stata ripresa e anticipata da Il Fatto Quotidiano e dal TG2, suscitando una presa di posizione immediata da parte del Ministero della Salute.
A rispondere alla rivista mensile è stata la Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, che ha specificato come in Italia “l’uso di carta riciclata nei cartoni per pizza d’asporto è vietato. L’articolo del Salvagente evidenzia l'assenza di una norma armonizzata nell'Unione europea su questo settore che solo in alcuni Stati Membri è regolamentata da disposizioni sanitarie. Infatti a partire dal 1973 il ministero della Sanità aveva disciplinato i materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti (MOCA) stabilendo per le carte e cartoni requisiti specifici e limitazioni d'uso". "In Italia - ricordano dal ministero - l'uso di carte e cartoni di riciclo è consentito soltanto per alcuni tipi di prodotti alimentari, i cosiddetti "solidi secchi "(sale, zucchero, riso, pasta secca etc.), tra i quali non rientra la pizza".
Nonostante il divieto formale, tuttavia, non è la prima volta che l’uso di carta riciclata per i cartoni take away finisce nell’occhio del ciclone di polemiche e inchieste.
Se ne era occupato proprio Il Salvagente già nel 2006, evidenziando come i contenitori per pizze analizzati contaminassero il cibo con almeno sei tipologie differenti di fenolici, benzeni e naftaleni e persino dietilesilftalato, una sostanza da tempo bandita da ogni oggetto di largo consumo per la sua tossicità.
Anche altri team di esperti che hanno studiato il caso sono giunti ad una conclusione simile e non meno preoccupante.
Su tutti il laboratorio di Ricerche analitiche alimenti e ambiente dell’Università di Milano, diretto dal professor Fernando Tateo, che nel 2006 ha analizzato 8 cartoni per la pizza di uso comune rintracciando ftalati, sostanze non autorizzate per la fabbricazione di pellicole di cellulosa, e soprattutto di-isobutilftalato “in quantità altamente preponderante rispetto a tutti gli altri componenti della frazione volatile (...) già alla temperatura di 60°”.
Nonostante siano passati ben 13 anni dai primi test che hanno evidenziato i rischi di sostanze tossiche e contaminanti nei cartoni per la pizza, la situazione è rimasta purtroppo immutata.