28 luglio 2018
Left,
rivista settimanale edita da Matteo Fago e diretta da Simona
Maggiorelli, dedica la copertina del nuovo numero in uscita in tutte
le edicole all’emigrazione di italiani
all’estero.
Roma,
28 luglio 2018. La fuga di cervelli rappresenta uno degli
elementi più scottanti dell’attuale panorama sociale della
nazione: mossi dalla stringente crisi economica, sono centinaia di
migliaia i connazionali che ogni anno raggiungono l’estero in cerca
di quella speranza e stabilità economica preclusa da un
mercato sul quale grava il peso di una sfiducia generalizzata e
diffusa, soprattutto tra le nuove generazioni.
Secondo i dati ufficiali
diffusi dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat),
soltanto nel 2016, sono stati oltre 124mila gli
italiani – in gran parte sotto i 35 anni di età – ad aver
lasciato la propria nazione.
Una situazione
particolarmente allarmante e che fa registrare ogni anno una crescita
inesorabile, rendendo i numeri del tutto comparabili allo scenario
del dopoguerra e superando per entità quelli dei migranti
economici in arrivo dai Paesi africani.
Left ha dunque
raccolto tre testimonianze significative per narrare l’epopea
di chi cerca fortuna altrove, spesso a malincuore, e sempre lontani
delle proprie radici.
Steven Forti,
ricercatore presso l’Instituto d’História Contemporânea
dell’Universidade Nova de Lisboa (UNL), fotografa nella sua
lettera da Barcellona la desolante condizione del panorama
migratorio: sono quasi sempre le personalità più qualificate
sotto il profilo professionale ad abbandonare l’Italia, creando
così un vortice negativo di impoverimento del capitale umano
generato dalla miopia della visione politica nostrana nell’elargire
finanziamenti scarsi o inesistenti alla ricerca scientifica.
Un problema cronico e che
ha portato all’estero alcune delle nostre menti più brillanti e
produttive.
Scrive da Londra Shady
Hamadi, scrittore italo siriano di talento e collaboratore de Il
Fatto Quotidiano, che ha lasciato il Paese nel dicembre 2017 per
sottrarsi ad un mercato del lavoro costellato di contratti
mensili, difficoltà nell’ottenere le dovute retribuzioni e,
soprattutto, la totale assenza di prospettiva nell’immediato
e prossimo futuro.
Figlio di un emigrato a
sua volta approdato in Italia quarant’anni fa, Hamadi si è
trovato giocoforza a dover sperimentare in prima persona la medesima
esperienza famigliare.
A Londra, racconta, la
speranza è riemersa con grande forza: tutti i lavori vengono
rispettati e riconosciuti nella loro dignità, e la meritocrazia
è un valore inestimabile nella cultura anglosassone.
La terza testimonianza è
il diario di un italiano che cerca di lavoro al di là dei confini
ed è firmata da Alberto Prunetti, traduttore e scrittore in
libreria con il suo nuovo romanzo “108 metri. The new working
class hero” (edito da Laterza).
E’ proprio sulla scia
della sua recentissima pubblicazione editoriale che nasce il breve
resoconto, dal gusto decisamente blues, sull’epica dello
scrittore lavapiatti a Londra.
Un ritratto
dissacrante sulla spietata competizione che comincia quasi
sempre da un’agenzia interinale, per poi concludersi con maratone
interminabili e all’insegna del cinismo per rincorrere il minimum
wage, il salario minimo legale, insieme ad un esercito di
immigrati che giungono ormai da tutti i Paesi d’Europa.