18 ottobre 2018
“Nunca
Más. Chucchi, Aldrovandi, Bianzino, Uva, Magherini, Traoré:
mai più”: si presenta con questo appello in copertina il nuovo
numero della rivista Left, settimanale edito
da Matteo Fago e diretto da Simona Maggiorelli,
in edicola dal
18 al 25 ottobre.
Roma, 18 ottobre 2018 - Il 22
ottobre 2009 è una data tristemente destinata a restare impressa
nella memoria collettiva e nella storia recente d’Italia.
Il caso Cucchi
Al sorgere dell’alba di quello stesso
giorno, paralizzato e disidratato, il giovane geometra Stefano
Cucchi moriva riverso su di un letto dell’ospedale “Sandro
Pertini” di Roma.
Il suo arresto risale a sei giorni
prima, quando viene fermato per il possesso di circa venti grammi
di hashish; quanto accaduto nel lasso di tempo che intercorre tra
l’ingresso nella caserma e il decesso nella struttura sanitaria, è
stato un dibattito che ha tenuto impegnate le autorità
giudiziarie e l’opinione pubblica per ben nove anni.
Le carte relative alla prima inchiesta
hanno sancito il rinvio a giudizio di guardie carcerarie e
sanitari dell’ospedale Pertini, e indicavano già da allora la
presenza di numerose questioni da chiarire sulle ore durante le quali
il giovane si è trovato nelle mani dei carabinieri.
Oggi il pestaggio selvaggio e
mortale subito da Stefano Cucchi è un dato acclarato e
dimostrato, oggettivo, e per la prima volta dall’apertura del caso
è un protagonista diretto a raccontare la sua testimonianza; si
tratta di Francesco Tedesco, carabiniere, che da imputato
di omicidio preterintenzionale si è trasformato in accusatore
dei colleghi coimputati nell’inchiesta.
Tedesco scrisse un rapporto
proprio il giorno in cui venne a conoscenza della notizia della morte
di Cucchi, ma il suo documento venne subito insabbiato.
E’ solo grazie alla determinazione
infaticabile di Giovanni, Rita e Ilaria –
rispettivamente padre, madre e sorella di Stefano – se la
verità è finalmente venuta a galla e la tragedia toccata loro in
sorte può mutare in una storia condivisa che riguarda tutti.
L’omicidio Cucchi è tuttavia
l’esempio più mediatico e lampante di una lunga scia di abusi,
spesso basata sulla persistenza nelle forze armate e di polizia
di una sottocultura di stampo fascistoide, come confermato
dall’esperienza del G8 di Genova conclusasi con lo sparo che
ha posto fine all’esistenza di Carlo Giuliani; in
quell’occasione i cellulari dei celerini squillavano cantando
“Faccetta Nera”, e anche all’interno delle loro chat non
mancavano frasi legate a concetti della medesima ideologia.
I nomi dei morti a causa della
cosiddetta police brutality, in Italia, compongono una
lista persino più lunga degli abusati - come Paolo Scaroni e
Stefano Gugliotta, per citarne due - sopravvissuti dopo il
contatto con la violenza di agenti, militari, secondini e pizzardoni.
Gli altri casi
Come ricorda Left nell’articolo
dedicato alla storia di copertina, “Emmanuel Bonsu,
cittadino ghanese, fu mezzo ammazzato di botte in una caserma di
vigili urbani a Parma. Un vigile urbano di Como sparò in
testa, spedendolo in coma, a Rumesh Rajgama Achrige, un
ragazzino cingalese di 19 anni. La sua colpa era di essere un
writer”.
E ancora il caso del clochard
della Stazione centrale di Milano, accusato di aggressione da
parte di due agenti della polfer, poi smentiti dalle
telecamere presenti: sono stati loro a pestare a morte il senzatetto
Giuseppe Torrisi, 58 anni, nel 2008.
I casi citati, da Cucchi ad
Aldrovandi, da Bonsu fino ai soprusi che hanno ottenuto meno
risonanza mediatica, dimostrano come l’Italia sia avvelenata
da un clima di violenza e paura indotta, troppo spesso proiettata sul
debole di turno. Con i risultati che purtroppo conosciamo.
Da oggi in edicola.